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La (discussa) natura prededucibile del credito del professionista nel concordato preventivo con riserva e nel successivo fallimento (Commento a CASS. SEZ. UNITE 42093 DEL 31/12/2021 Pres. Amendola, Rel Ferro).

La massima

Il credito del professionista incaricato dal debitore di ausilio tecnico per l’accesso al concordato preventivo o il perfezionamento dei relativi atti è considerato prededucibile, anche nel successivo e consecutivo fallimento, se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui alla L. Fall., art. 161, sia stata funzionale, ai sensi della L. Fall., art. 111, comma 2, alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, alla conservazione o all’incremento dei valori aziendali dell’impresa, sempre che il debitore venga ammesso alla procedura ai sensi della L. Fall., art. 163, ciò permettendo istituzionalmente ai creditori, cui la proposta è rivolta, di potersi esprimere sulla stessa; restano impregiudicate, da un lato, la possibile ammissione al passivo, con l’eventuale causa di prelazione e, per l’altro, la non ammissione, totale o parziale, del singolo credito ove si accerti l’inadempimento della obbligazione assunta o la partecipazione del professionista ad attività fraudatoria.

La vicenda processuale e i contenuti del ricorso

La controversia trae origine dal decreto del Tribunale di Mantova n. 2531/2016 che, nel rigettare l’opposizione allo stato passivo di un credito in prededuzione proposta da un dottore commercialista, osservava che l’attività svolta in esecuzione di un contratto di consulenza come advisor contabile (finalizzata alla predisposizione di una serie di atti necessari per la presentazione di una domanda di concordato preventivo successivamente divenuta inammissibile per mancanza dei presupposti costitutivi ed anzi per intervenuta rinuncia dallo stesso debitore, successivamente fallito) difettava del requisito della funzionalità richiesto dall’art. 111 comma 2 L.F.

Il Tribunale rilevava, nella vicenda in esame, il difetto del presupposto teleologico della prestazione che in sostanza non arrecava alcun beneficio né alla massa attiva né al patrimonio aziendale che non ne risultava salvaguardato in alcun modo. La rinunzia della società – in seguito fallita – interrompeva il nesso di funzionalità e/o strumentalità della prestazione del professionista a nulla valendo il richiamo al D.L. 23/12/2013 n. 145 art. 11 comma 3 – vigente all’epoca dei fatti –  che, si ricorda, affermava la natura prededucibile del credito a  “condizione che la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo del citato articolo 161 siano presentati entro il termine, eventualmente prorogato, fissato dal giudice e che la procedura sia aperta ai sensi dell’articolo 163 del medesimo regio decreto, e successive modificazioni, senza soluzione di continuita’ rispetto alla presentazione della domanda ai sensi del citato articolo 161, sesto comma”. La norma in questione avendo natura di interpretazione autentica e successivamente abrogata nel 2014, non spostava i termini della questione ed anzi ribadiva la ricostruzione effettuata dal Tribunale incentrata sulla inesistenza di validi profili funzionali della prestazione professionale rispetto alla ricerca di una soluzione alternativa alla crisi di impresa.

Il ricorso proposto dal professionista si articola su tre motivi: il primo lamenta la violazione degli art. 161 comma 7 e 111 della L. F. per aver il Tribunale negato la natura prededucibile del credito in assenza del requisito della funzionalità della prestazione in contrasto con il già richiamato art. 11 del D.L. 145/2013 applicabile ratione temporis che non menziona tale requisito; il secondo motivo si sofferma sul vizio di omessa pronuncia da parte del giudice del merito sul quantum debeatur per la parte di credito non ammessa; il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia, non avendo attentamente valutato il Tribunale che l’incarico di advisor contabile ha ad oggetto l’attendibilità e/o affidabilità delle scritture contabili nonché l’aggiornamento delle stesse. Il risultato ultimo di tale operato si era concluso nella puntuale ricostruzione degli elementi attivi e passivi che avevano indotto la società a non procedere nella procedura di concordato, che non avrebbe sortito alcun valido effetto per il ceto creditorio, e quindi non ritardando la dichiarazione di fallimento.

Ordinanza interlocutoria n. 10885/2021 e i quesiti rimessi alle Sezioni Unite

Ravvisato un contrasto all’interno delle sezioni della Corte di Cassazione sulla persistenza o meno della prededucibilità del credito professionale in caso di domanda di concordato in bianco, successivamente divenuto inammissibile o rinunciato, sulla nozione di strumentalità e sui criteri valutativi (se ex ante o ex post) della stessa, ravvisata altresì l’esigenza di ricostruire in maniera armonica e coerente un quadro interpretativo che all’esito della stratificazione legislativa e giurisprudenziali succedutasi nel tempo, che hanno minato fortemente la certezza giuridica per gli operatori del settore, la Prima Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 10885 del 2021 ha affidato alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la soluzione delle seguenti questioni:

  1. i) se la disciplina della revocatoria dei pagamenti di crediti insorti a fronte della “prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali” condivide la medesima ratio che è posta a fondamento della prededuzione del credito dei professionisti che abbiano prestato la propria opera in vista dell’accesso alla procedura concordataria;
  2. ii) se debba essere ribadito che la prededuzione di detto credito non trova fondamento nel presupposto dell’occasionalità, ma in quelli della funzionalità e/o della espressa previsione legale;

iii) se debba essere ribadito che il criterio della funzionalità va scrutinato ex ante, non considerando in alcuna misura l’utilità della prestazione del professionista;

  1. iv) se la previsione legale si riferisca al solo professionista attestatore o anche agli altri professionisti cui si è fatto cenno;
  2. v) se il preconcordato sia una fase di un’organica procedura o se la procedura di concordato preventivo, anche in caso di concordato in bianco, abbia inizio con il provvedimento di ammissione del tribunale;
  3. vi) se la prededuzione spetti anche in caso di procedura concordataria in bianco che non varca la soglia dell’ammissibilità ovvero in caso di revoca della proposta da parte del proponente;

vii) se la prededuzione spetti al professionista che ha lavorato prima ancora del deposito della domanda di concordato;

viii) se l’esigenza di contrastare il danno inferto ai creditori per effetto del depauperamento dell’attivo derivante da una gestione preconcordataria produttiva di debiti prededucibili possa essere soddisfatta attraverso la verifica dell’esatto adempimento, e del carattere non abusivo e/o fraudatorio, della prestazione richiesta al professionista in vista dell’accesso alla procedura concordataria.

Tuttavia, come segnalato dall’ordinanza interlocutoria il contrasto in giurisprudenza verte essenzialmente sulla natura prededucibile o meno del credito del professionista in caso di concordato inammissibile o rinunciato al quale è opportuno dare adeguata descrizione nei principali contenuti.

L’orientamento positivo (Cass. 25471/2019, Cass. 2018/7974, 280/2017), come segnalato dalla richiamata ordinanza è nel senso che “in sintesi, il credito del professionista che abbia operato in vista della procedura concordataria è prededucibile sia perchè contemplato espressamente dalla legge (e però, si badi, senza alcun automatismo), sia per effetto della relazione di funzionalità”.

 La collocazione nella categoria di preferenza nella ripartizione si giustifica stante la “intrinseca utilità” per i creditori sociali.

Altro e più restrittivo orientamento sostiene la non sussistenza della prededucibilità in tali ipotesi (Cass. 5254/2018, 639, 640 e 641 del 2021). Tale orientamento (a cui si aggiunge quello espresso da Cass. 2547/2019) ha affermato che: “La L. Fall., art. 111, comma 2, nello stabilire che sono considerati prededucibili i crediti sorti “in funzione” di una procedura concorsuale, presuppone che una tale procedura sia stata aperta, e non la semplice presentazione di una domanda di concordato, che dà luogo unicamente ad un procedimento di verifica volto al mero accertamento dell’ammissibilità della proposta. Il credito del professionista che abbia svolto attività di assistenza o consulenza per la presentazione della domanda di concordato preventivo dichiarata inammissibile o rinunciata non è pertanto prededucibile nel fallimento, ancorchè la sentenza dichiarativa si fondi sulla medesima situazione (di insolvenza) rappresentata nella domanda“. In particolare, secondo il citato orientamento: “…L’attività che il tribunale pone in essere nel corso di tale procedimento è quanto mai articolata… Solo se la verifica ha un esito positivo, il tribunale fallimentare… dichiara aperta la procedura di concordato preventivo… Nel caso di esito negativo… il tribunale emette invece una pronuncia di inammissibilità “della proposta”, e non già “del concordato”: ciò significa che la domanda di ammissione alla procedura, al pari di ogni altra domanda sottoposta alla previa delibazione del giudice, non è produttiva dell’effetto che con essa l’imprenditore intende conseguire fino a quando non risulti accertata la sussistenza dei presupposti necessari al suo accoglimento” (Cass. 15 gennaio 2021, n. 639).

Corollario della detta ricostruzione giurisprudenziale è la negazione di natura concordataria all’attività finalizzata alla redazione della domanda. In altri termini, la procedura del concordato (ivi incluso quello con riserva) ha inizio non con la presentazione della domanda (a cui pure segue una pubblicità nel registro delle imprese – ai soli fini della segnalazione di inizio di una attività di verifica), ma con il decreto ex art. 163 L.F. che dichiara aperta la procedura.

La decisione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite: analisi

– Le fonti della prededucibilità ex art. 111 L.F.

Pur essendo condivisibile – a parere di chi scrive –  lo spunto ricostruttivo offerto dal Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione di risolvere preliminarmente i quesiti VI e VII, stabilendo quindi se la qualifica di credito prededucibile spetti solo in caso di concordato in bianco (o con riserva) che sia aperto o anche nel caso in cui la domanda sia inammissibile o sia intervenuta rinuncia da parte del debitore, successivamente fallito, la Cassazione ritiene invece di partire dal quesito II stabilendo quindi la fonte del credito prededucibile del professionista (se da ricercarsi nella legge, nell’occasionalità oppure nella strumentalità del crediti rispetto alla procedura).

Prima di far ciò, la Cassazione ritiene opportuno ripercorrere le principali tappe evolutive dell’istituto sottolineando che il credito prededucibile lungi dal possedere la qualifica di privilegio sostanziale, si atteggia meglio a qualificarsi come “credito con precedenza processuale” accordandosi tale preferenzialità nel pagamento (rispetto alla massa passiva) ai “soli atti diretti a realizzare l’obiettivo della conduzione ottimale della procedura e del miglior soddisfacimento dei creditori, prerogativa di azione riservata alle competenze degli organi” (punto 10 della motivazione).

In seguito alla riforma della legge fallimentare del 2006, il nuovo art. 111 definiva il credito prededucibile individuando tre fonti: 1) per espressa disposizione di legge; 2) i crediti sorti in occasione della procedura concorsuale (cd. criterio cronologico); 3) i crediti sorti in funzione della procedura concorsuale (cd. criterio strumentale e/o teleologico).

Fatta questa premessa, la Cassazione esclude che la fattispecie per cui è causa sia da qualificarsi tra quelle di fonte legale, non essendo possibile richiamare nella vicenda de qua neanche la categoria degli atti legalmente compiuti dal debitore ex art. 161 comma 7 della L.F. (qualificata nel diritto vivente come prededuzione automatica) che espressamente prevede nel suo ultimo inciso: “I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell’articolo 111”. Sul punto la Cassazione in commento, richiamando i principi affermati da Cass. 14713/2019 e da Cass. SU 10080/2020 sulla distinzione tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione – che necessitano di autorizzazione ad hoc – osserva quanto segue: “ne deriva che la citata distinzione tra atto di ordinaria o di straordinaria amministrazione s’incentra sulla “idoneità a pregiudicare i valori dell’attivo compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, tenuto conto esclusivamente dell’interesse di questi ultimi e non dell’imprenditore insolvente”, essendo quindi possibile che atti astrattamente qualificabili di ordinaria amministrazione, se compiuti nel normale esercizio dell’impresa possano, invece, assumere un diverso connotato nell’ambito di una procedura concorsuale”, con la conseguenza che in caso di non inerenza alle ragioni creditorie, il credito non potrà essere considerato prededucibile.

Seguendo l’articolato ragionamento della Corte, si giunge alla conclusione secondo cui la ratio individuata dalla categoria degli atti di cui all’art. 161 comma 7 della L.F. è da ricercarsi nella tutela dei terzi creditori che forniscono beni e servizi all’imprenditore che ha presentato domanda di concordato per consentire la prosecuzione dell’attività commerciale stessa e non per rafforzare l’accesso al concordato stesso. In virtù di quanto sopra, il credito del professionista non sembra rientrare nella categoria degli atti in questione.

Alle medesime conclusioni negative deve pervenirsi rispetto al secondo parametro individuato dall’art. 111 comma 2 L.F. Infatti il credito del professionista nella vicenda in concreto scrutinata non è suscettibile di rientrare tra i crediti sorti in occasione della procedura concorsuale. Sul punto la Cassazione ricorda, ribadita la natura di autonoma fonte di credito prededucibile “per la rilevanza della disgiunzione “o” utilizzata dal legislatore, quanto sostenuto da Cass. 1513/2014 secondo cui non basta il rispetto del mero criterio temporale ma è necessaria anche la riferibilità dell’attività posta in essere agli organi della procedura stessa.

Passando all’ultimo criterio individuato dall’art. 111 comma 2 L.F., il  Supremo Collegio osserva che la prestazione oggetto di causa va sicuramente riguardata sotto il profilo della strumentalità della prestazione e quindi il detto criterio è sicuramente quello da richiamare nella vicenda, tant’è che afferma: “che proprio la funzionalità ben si presta ad includere i crediti di terzi per prestazioni eseguite a favore del debitore in termini di preparazione ed allestimento delle procedure concorsuali anche minori (quesito iv); il parametro ricorre pertanto, a volerne assicurare autonomia, laddove per esse la coadiuvazione non riguardi in senso stretto la conservazione dell’impresa in sè (cioè gli atti di amministrazione, cui hanno diverso riguardo ad esempio nel corso del concordato – il descritto della L. Fall., art. 161, comma 7, ovvero le varie ipotesi di finanziamento in esecuzione, in funzione o interinale), bensì la ristrutturazione del passivo e i progetti di soddisfacimento dei creditori proprio per come organizzati nelle forme e con gli atti necessari (per legge) o parimenti indispensabili (secondo il tenore dell’iniziativa attivata) all’instaurazione e all’ordinato svolgimento della procedura cui sono strumentali”.

– La nozione di strumentalità, la valutazione ex ante della stessa e la continuità tra le procedure

Tuttavia sotto questo profilo argomentativo, la Cassazione risolve gran parte delle questioni rimesse dall’ordinanza della Prima Sezione. Infatti, l’approfondimento ermeneutico del requisito della funzionalità offre lo spunto argomentativo per affrontare il tema della permanenza della natura prededucibile anche nel caso di insuccesso della procedura fallimentare cd. minore (e quindi per affrontare il tema individuato come specifico dalla sentenza in commento della continuità tra procedure) e per contrapporre il concetto di strumentalità con quello di utilità in concreto apportata dalla prestazione del professionista secondo un giudizio da valutarsi ex post (concetto che sarà superato dalle Sezioni Unite in parola).

Procedendo con ordine, quanto al concetto di continuità tra procedure, la Cassazione richiamando i propri precedenti in materia (e in particolare  Cass. 15724/2019) rileva che “è “un fenomeno (di) collegamento tra procedure di qualsiasi tipo, volte a regolare una coincidente situazione di dissesto dell’impresa, che trova nella L. Fall., art. 69 bis, una sua particolare disciplina nel caso in cui esso si atteggi a consecuzione fra una o più procedure minori e un fallimento finale” (Cass. 15724/2019); parimenti, nemmeno è decisivo l’intervallo temporale in sè tra la chiusura di una procedura e la dichiarazione di fallimento, “purchè si tratti di un intervallo di estensione non irragionevole, tale cioè da non costituire esso stesso elemento dimostrativo dell’intervenuta variazione dei presupposti delle due procedure” (Cass. 6290/2018, 33402/2021)”.

Più nello specifico, secondo un primo indirizzo ermeneutico, per aversi consecutività tra procedure e per far permanere la natura prededucibile del credito sarebbe necessaria la sovrapponibilità del presupposto oggettivo (ossia la continuità nell’insolvenza o meglio la “non discontinuità dell’insolvenza”): “in difetto di “una discontinuità nell’insolvenza”, la sovrapponibilità del presupposto oggettivo basterebbe a determinare anche il carattere prededucibile del credito maturato dal professionista (nella specie, incaricato dal debitore che abbia depositato domanda di concordato con riserva di redigere l’attestazione di cui alla L. Fall., art. 161, comma 3), pure se la domanda, dichiarata inammissibile L. Fall., ex art. 162, non sia sfociata in un’apertura della relativa procedura, stante la pronuncia del fallimento (Cass. 25471/2019); in questa lettura, la presentazione della domanda di concordato innescherebbe un segmento dell’unico procedimento, che può evolvere in una mera fase ove segua il deposito degli atti a scioglimento della riserva, mentre la prededuzione promanerebbe dall’automatismo dell’effetto protettivo per gli atti legalmente compiuti nel periodo interinale della L. Fall., art. 161, comma 7, almeno ove sia mancato l’accertamento di un abuso nella rispettiva produzione dei debiti”.

Secondo altro orientamento, a cui la Corte darà continuità con le dovute precisazioni, non può sussistere continuità tra procedure solo in presenza di omogeneità del presupposto oggettivo dell’insolvenza ma è necessaria la ricorrenza anche di una evoluzione sotto il profilo procedurale (con ciò riprendendo un concetto che era stato già espresso dalla Cassazione nel 2015: “all’opposto si situano le pronunce che, raffinando un principio già esposto dal 2015 (con l’ordinanza n. 25589) e ponendo in discussione che la fase preconcordataria sia assimilabile ad ogni effetto al regime pieno del concordato preventivo, oltre cioè i riferimenti normativi estensivi (come la L. Fall., art. 168), dubitano dell’esistenza di una nozione unica di continuità, la quale esigerebbe invece – oltre all’identico elemento oggettivo – anche una evoluzione formale della procedura, almeno ammessa ai sensi della L. Fall., art. 163 (Cass. 639, 640 e 641 del 2021 e poi Cass. 4710 del 2021); per contro, la collocazione del credito del professionista che abbia assistito il debitore non richiamerebbe la L. Fall., art. 161, comma 7 (circoscritto alla gestione dell’impresa), ma proprio la funzionalità della L. Fall., art. 111, comma 2, a sua volta assente, stante la discontinuità formale tra concordato e fallimento quando, come nel caso, il primo non sia stato ammesso”. Le Sezioni Unite ritengono che il requisito della funzionalità (come parametro attributivo della prededucibilità del credito) in questo contesto possa svolgere il ruolo di regola generale valevole per tutti i crediti sorti in seguito di prestazioni (negoziali e non) del debitore (ma anche di un terzo) che si pongono in relazione di strumentalità ossia che hanno reso possibile la procedura concorsuale, ne hanno agevolato instaurazione, prosecuzione  e avanzamento “con l’avvertenza che il primo di essi, per quanto ad esito infausto, sia progredito oltre il mero accesso, raggiungendo almeno gli obiettivi minimali che lo caratterizzano tipologicamente, cioè possa dirsi, quanto al concordato, procedura concorsuale pervenuta alla fase di possibile coinvolgimento dei creditori (punto 30 della motivazione).

Seguendo questa linea argomentativa, vi sarà discontinuità tra procedure (oggettiva e organizzativa), quando la prima procedura “non sia avanzata oltre la domanda del debitore ed infatti nemmeno sia stata aperta, così non raggiungendo lo scopo per il cui realizzo abbia cooperato un terzo, ingaggiato dal debitore”.

Quanto al giudizio di valutazione del nesso di strumentalità dell’apporto del professionista nella procedura minore sfociata nel fallimento, la Cassazione, rispondendo puntualmente al quesito posto dall’ordinanza della Prima Sezione, ribadisce la necessità di uno “smarcamento” da criteri di valutazione ex post  (che – secondo la Corte – porterebbero sempre ad una soluzione negativa), sottolineando che l’operato dei professionisti non deve soltanto portare alla mera instaurazione della procedura minore ma deve porsi in continuità con la procedura successiva attuando una traslazione di risorse “riconoscibile” e valori aziendali riorganizzabile in sede concorsuale. Diversamente, avverte il supremo consesso si rischierebbe “una consegna programmaticamente ritardata (dell’impresa) alla procedura finale liquidatoria”.

Da quanto sopra, se ne deduce che gli apporti dei terzi professionisti devono tradursi in un piano di ristrutturazione realizzabile da portare a conoscenza dei terzi creditori e quindi, la valutazione della strumentalità della prestazione presuppone una procedura quantomeno aperta. Tuttavia, con riferimento alla specificazione degli apporti dei professionisti va operata una distinzione sotto il profilo della valutazione della strumentalità: infatti mentre tale valutazione per le prestazioni normativamente previste (come nel caso dell’opera prestata per la proposizione della domanda, per l’attestazione di veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano, oppure in caso di perizia estimativa dei beni aziendali),  è agevolata dalla previsione normativa stessa, fermo restando il giudizio sulla esattezza dell’adempimento stesso del professionista, in caso di apporto “atipico” l’indagine svolta dal giudice deve essere più puntuale e approfondita e sarà onere del professionista provare l’adeguatezza del mandato ricevuto rispetto all’iniziativa del debitore.

Ulteriore precisazione degna di rilievo riguarda la corretta tenuta, alla luce dei principi affermati, della distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato. Infatti, è stato sostenuto che il requisito della strumentalità della prestazione del professionista rischia di trasformare l’obbligazione di quest’ultimo nel necessario perseguimento di un risultato dato dall’ammissione alla procedura concordataria o dalla conclusione di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Di conseguenza, la prededucibilità non spetta in caso di inammissibilità della domanda o di rinuncia alla stessa.

Sul punto, la Cassazione lucidamente osserva che la valutazione ex ante della strumentalità opera su un piano del tutto diverso che “rende superfluo il confronto con la tradizionale distinzione tra obbligazione di mezzi, quale resta quella del professionista e obbligazione di risultato, posto che l’esclusa prededuzione non discende in modo diretto dall’insuccesso della domanda, bensì dall’inidoneità causale dell’apporto del terzo alle finalità istituzionali della procedura, avendo egli configurato la propria opera, in caso di concordato non ammesso o rinunciato, verso elementi di un progetto non consegnato alle valutazioni dei creditori, cui invece – per finalità tipica dell’istituto – la proposta del debitore dev’essere diretta”.

– I rapporti con la disciplina della revocatoria

Quanto al quesito i) posto dall’ordinanza di rimessione della questione a Sezioni Unite ossia “se la disciplina della revocatoria dei pagamenti di crediti insorti a fronte della “prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali” condivide la medesima ratio che è posta a fondamento della prededuzione del credito dei professionisti che abbiano prestato la propria opera in vista dell’accesso alla procedura concordataria)”:   la Cassazione, richiamando numerosi precedenti conformi (Cfr. Cass. 5098/2014, 6031/2014,1217/2018, 27538/2019,220/2020), condivide l’identità di ratio tra l’art. 111 comma 2 LF e l’art. 67 comma 3 lett. g, ma avverte che “la comune attitudine relazionale delle due disposizioni, tuttavia, non può condurre a sovrapporne ogni aspetto, così da rinvenire in ciascuna gli elementi integrativi delle reciproche fattispecie astratte; oltre alla latitudine diversa e più generica che la nozione di “servizi” (presente nella definizione dell’impresa estrapolabile dall’art. 2082 c.c.) assume rispetto alle “attività professionali” (che, nell’accezione in cui si è posta la questione della prededucibilità, attengono alle professioni intellettuali, non necessariamente ordinistiche, nè coincidenti sempre con prestatori persone fisiche), sostenere infatti che se i crediti sorti per ottenere servizi professionali strumentali all’accesso al concordato vanno esenti da revocatoria ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. g), vuol dire che quegli stessi crediti, ove impagati, diventano prededucibili nel successivo fallimento, a prescindere dall’apertura del concordato, appare il frutto di una petizione di principio”. In altri termini, pur ammettendo una accostabilità tra i due istituti, si ribadisce la diversità di presupposti e funzioni e soprattutto si tende a negare ogni automatismo tra non revocabilità e prededucibilità.

Sul punto anche il Sostituto Procuratore aveva espresso perplessità e aveva sottolineato come necessaria una demarcazione netta tra i due istituti che hanno funzioni differenti, ricordando quanto ha osservato Cass. 4340/2020 in argomento ““L’esenzione da revocatoria opera infatti su un piano diverso rispetto alla prededuzione e sembra prescindere dall’interesse dei creditori, postulando piuttosto una valutazione ex ante, al momento del compimento dell’atto astrattamente revocabile”.

Questa diversità di piani sembra mantenuta, secondo la Cassazione, in caso di credito del professionista che abbia prestato la propria opera per il debitore in caso di istanza di auto-fallimento. Sul punto, la Cass. richiama un precedente in materia (Cass. 25313/2021) sottolineando che quest’ultima sentenza richiama la nozione di strumentalità della prestazione ai fini del riconoscimento della prededucibilità in linea con l’orientamento adottato e ricava dalla non revocabilità del detto credito soltanto un elemento indiretto: “ha più efficacemente richiamato l’accertata strumentalità e funzionalità alla procedura fallimentare dell’iniziativa del debitore, che aveva allestito – dopo aver rinunciato al concordato preventivo avviato – la presentazione dell’istanza di fallimento in proprio con esercizio provvisorio, tramite costituzione di una cooperativa tra dipendenti ed acquisto del marchio e degli impianti, permettendo il proseguimento dell’attività caratteristica e dei posti di lavoro, cioè quella aggregazione di risorse che avrebbe reso adeguata, almeno secondo il confermato giudizio ex ante rimesso al giudice di merito, la scelta di instaurare e appunto preparare anche con l’apporto del terzo l’accesso alla procedura fallimentare, infatti oggetto di domanda accolta nei termini richiesti”.

– Giudizio sulla responsabilità del professionista e giudizio sulla prededucibilità

In ordine al quesito di cui al punto VIII (ossia: se l’esigenza di contrastare il danno inferto ai creditori per effetto del depauperamento dell’attivo derivante da una gestione preconcordataria produttiva di debiti prededucibili possa essere soddisfatta attraverso la verifica dell’esatto adempimento, e del carattere non abusivo e/o fraudatorio, della prestazione richiesta al professionista in vista dell’accesso alla procedura concordataria):

Sul punto la Cassazione, recependo lo spunto argomentativo dell’ordinanza di rimessione, seppur in un ottica estremamente rigorosa rispetto all’operato del professionista, richiama i principi del diritto vivente in materia di responsabilità professionale sottolineando che giudizio sulla strumentalità della prestazione rappresenta un posterius rispetto all’esattezza dell’adempimento. In altri termini, il Supremo Consesso afferma che di funzionalità si può discorrere in presenza di una prestazione diligentemente adempiuta (sotto questo profilo ribadendo che la prestazione del professionista è di mezzo e non di risultato, si veda quanto sopra detto e che la colpa va valutata in relazione alla natura dell’attività esercitata).  Tale giudizio sulla selezione delle prestazioni “meritevoli”, come enfaticamente sottolineato dalla Prima Sezione, avviene in sede di accertamento e obbliga (onera) il curatore “di allegare e provare l’esistenza del titolo negoziale, contestando la non corretta esecuzione della prestazione o anche la sua inutilità per la massa o la solo parziale utilità (con riduzione del quantum ammissibile: Cass. 14050/2021) o l’incompleto adempimento (sulla base del criterio di corrispettività ed essendo parzialmente nulle le clausole di insindacabilità del compenso a forfait: Cass. 7974/2018); per contro, a carico del professionista al di fuori di una obbligazione di risultato, pari al successo pieno della procedura – ricade l’onere di dimostrare l’esattezza del suo adempimento, per rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera ovvero l’imputazione a fattori esogeni, imprevisti e imprevedibili dell’evoluzione dannosa della procedura, culminata nella sua cessazione (anticipata o non approvata giudizialmente) e nel conseguente fallimento” (punto 57 della Sentenza a Sezioni Unite).

– La soluzione adottata dalla Suprema Corte rispetto all’art. 6 del CCII

Va preliminarmente ricordato che l’art. 6 del Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza include la disciplina dei crediti prededucibili tra i principi generali del codice. In particolare l’art. 6 prevede, per quel che qui interessa, la prededucibilità per:

… omissis

  1. b) i crediti professionali sorti in funzione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti e per la richiesta delle misure protettive, nei limiti del 75% del credito accertato e a condizione che gli accordi siano omologati;
  2. c) i crediti professionali sorti in funzione della presentazione della domanda di concordato preventivo nonche’ del deposito della relativa proposta e del piano che la correda, nei limiti del 75% del credito accertato e a condizione che la procedura sia aperta ai sensi dell’articolo 47”.

La norma è ispirata al contenimento dei costi della procedura (cd. principio di economicità); la ratio è principalmente quella di evitare che l’ampliamento del perimetro della prededucibilità assorba in misura rilevante l’attivo a disposizione della massa passiva; tant’è che non riporta il criterio normativo della occasionalità né quello della funzionalità di cui al 111 bis L.F.

Su questo punto la Cassazione condivide sicuramente la ratio di contenimento evidenziata e osserva che la soluzione adottata si pone in rapporto di continuità regolativa con una norma di futura introduzione specificando, come già in passato sostenuto anche da altre sentenze della Corte, che è possibile ricorrere ai criteri ispirativi dettati da norme non ancora vigenti solo nel caso in cui non vi siano elementi di innovazione; in altri termini quando la norma riscrive regole già note in giurisprudenza, è possibile offrire soluzioni di coerenza normativa già prima dell’entrata in vigore del codice della crisi di impresa: “la possibilità di utilizzo del codice della crisi e dell’insolvenza – parte integrante dell’ordinamento positivo nonostante la lunga vacatio legis prevista è stata fissata nei suoi canoni da queste Sezioni Unite nella sentenza 12476 del 2020 ove si è riconosciuto che il citato testo “in generale non applicabile – per scelta del legislatore – alle procedure… aperte anteriormente alla sua entrata in vigore (art. 390, comma 1, C.c.i.i.), e la pretesa di rinvenire in esso norme destinate a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della L. Fall., potrebbe essere ammessa se (e solo se) si potesse configurare nello specifico segmento – un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro”; a tale indicazione ermeneutica si sono poi conformate altre due pronunce delle Sezioni Unite, risolvendo contrasti interpretativi attorno ad istituti dell’attuale ordinamento concorsuale positivo proprio attingendo alle soluzioni dettate più specificamente dal codice della crisi, dopo averne riconosciuto la continuità o addirittura la piena identità rispetto ad indirizzi già presenti nel formante giurisprudenziale; Cass. s.u. 8504/2021, in un giudizio concernente l’impugnazione del rigetto della proposta di trattamento dei crediti tributari avanzata nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti L. Fall., ex artt. 182 bis e ter, ha affermato la sussistenza di tale continuità fra L. Fall., artt. 180, 182 bis e 182 ter, nel testo anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 14 del 2019, applicabile nel caso e gli stessi della L. Fall., artt. 180, 182 bis e 182 ter, come successivamente modificati dall’art. 63 del citato codice della crisi e del D.L. n. 125 del 2020, art. 3, comma 1 bis (convertito nella L. 27 novembre 2020, n. 159); la più recente Cass. s.u. 35954/2021 ha confermato il principio in materia di concordato preventivo; a propria volta Cass. s.u. 12154/2021 ha chiarito che la regola fissata nell’art. 143, comma 3 CCII non esprime un dato di assoluta novità enunciativa, “mostrando all’evidenza di coincidere con uno degli assetti ermeneutici sedimentati presso questa Corte e, in ciò, limitandosi a selezionare un’interpretazione possibile, tra le più, finora seguite, dunque ed obiettivamente delimitando la portata dell’istituto e pertanto, per quel che qui rileva, non assumendo una radicale natura anche legislativamente innovativa; a tale versante si può attribuire rilievo… apparendo l’opzione positiva prescelta già oggi idonea ad indicare una complessiva linea di condivisibile semplificazione ermeneutica”, così che l’interruzione del processo è automatica ai sensi del vigente L. Fall., art. 43, comma 3, ma il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi della L. Fall., artt. 52 e 93, per le domande di credito, decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte, come solo esplicitato dal codice della crisi; risulta dunque evidente che, per questa via, l’adozione dell’indirizzo già ora sintonico con il precetto dell’art. 6, comma 1, lett. c) CCII contribuisce a ricondurre a sistema, come osservato dal Procuratore Generale, una soluzione presente nel formante giurisprudenziale e che diverrebbe armonizzata rispetto ad un assetto normativo destinato a compiersi nella sua interezza con la prossima entrata in vigore integrale del D.Lgs. n. 14 del 2019”.

Conclusioni

La sentenza in commento si inserisce sicuramente in un ottica di contenimento dei costi della procedura, in conformità a quelli che sono gli obiettivi del legislatore del codice di futura introduzione; ma quello che preme sottolineare in questa sede è che il professionista del debitore, pur permanendo, come affermato dalla stessa sentenza, la distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato, accederà alla prededucibilità solo in caso di perseguimento di un risultato (dato dall’ammissione al concordato).

Non sembra quindi forzato sostenere che per il professionista, pur non dovendo egli dimostrare nell’eventuale giudizio di responsabilità il perseguimento dell’obiettivo a cui la prestazione era rivolta (o che il mancato perseguimento dell’obiettivo non è a lui imputabile in quanto dovuto a una causa esterna al suo operato), l’apertura della procedura con decreto ex 163 L.F. offra maggiori chance di valutazione positiva sotto il profilo della strumentalità e continuità della procedura e quindi di riconoscimento di prededucibilità.

In altri termini, non sembra arduo sostenere che la tradizionale dicotomia (un po’ come già avvenuto per le professioni sanitarie), nel caso dei professionisti della crisi di impresa, stia sfumando, dirigendosi verso la qualificazione di una obbligazione di mezzi tesa a un risultato (o a un facere cum effecto), in quanto è pressoché indubbio che la valutazione della diligenza professionale adottata sarà vagliata anche sotto il profilo del perseguimento dell’obiettivo.

Avv. Pierpaolo Galli

 

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